Visualizzazioni totali

sabato 8 settembre 2012

Un Padre






                                                  "...ti vedo ad ogni occhiata dello specchio
                                        del mio corridoio
                                        mentre metto il cappello
                                        e me l'aggiusto un poco
                                        sulle ventitré..."
                                                          (Arnaldo Ederle da "Distanze)






                                                 




da " Passaggio D'estate" 2003 Zane editrice



PADRE  MIO 


Padre mio appoggiato
Vicino al muro
Coperto di sole
Tu sei l'immagine
Dell'uomo che aspetta.
Aspetti la pace
Che ti fu negata
Sempre
Prima dalla guerra
Poi dal pensiero
Che io dovevo
Mangiare.
Sorridi allora
Quando mi vedi avvicinare
A te.
Mi vedi già grande
Hai vinto sulla miseria
E gioisci
Quando mi accendi
Una sigaretta

("giovanili")




LA CARBONELLA



Se ben ricordo l'odor della carbonella
rallegrava la casa e si spandeva dal bacile
di malta fin su i vasi delle angoliere
Poi tutti intorno al bacile assaporavamo
il calore che calmava le mani impietrite
dal freddo. Mio Padre ringraziava il freddo
quando tornava a casa con diecimilalire
e poca carbonella nel carretto.

Ti vedo ancora Padre felice per quelle lire
in più che servivano alla nostra vita dignitosa
e per questa vita respiravi carbonella fino a sera,
ma un po’ di vino ed una focaccia di patate
ti davano il sorriso e la forza di scherzare
ancora vicino al bacile rosseggiante
che ci scaldava e ci teneva uniti nella sorte.

Se guardo il cielo di notte vedo ancora
il tuo carretto che riversa carbonella
in ogni angolo dell'Infinito. Dopo che hai
scaldato gli uomini ora so che ti prendi cura
degli immortali e per questo continuerai
a respirare carbonella ed a sorridere.

("campiensi")



da " Città fenicie "




















MAL D’AFRICA


Per gamete ho nelle vene
sabbia di terre promesse.
I tuoi vent’anni a Cirene
Quarta Sponda senza lanterne.
Poi con la divisa nel fango
delle strade dell’Eritrea
a non capire per come e quando
un contadino doveva sparare…

Mal d’Africa mi sopravvive
ereditata per legge sconosciuta
di un vivo sangue che non coagula.
E venti e lamenti all’unisono
m’assordano in echi di assilli
sofferenti, sottofondo inquieto
di una vergogna che mi sprofonda
per sembianze d’uomo e dei suoi
vili intendimenti. E il sangue cola
dall’Atlantico al Mar Rosso, dalla
Libia al Ruanda per putrescenza
di un maleficio d’importazione
(tutto europeo) che non si ferma!

Tornasti da Ceylon con timbro
Inglese e un anello con fior di loto
(che io ho perduto) con l’incubo di
non esser tornato vivo da quel suolo
(quante volte ti sei svegliato tremando
col grido fanciullo di “mamma”?)
Mal d’Africa il tuo! Pure il mio
per quel fetore di massacri che vela
il Mediterraneo, arriva ad ovest
e non si ferma! Perché!!!




da "Maestrale ed altri venti" inedito



IL TRANVIERE


Ti promisero tranviere, non sapevano
di Addis Abeba, altro poi hai fatto.
Guarda-mi dicesti- son tutti carciofi
quei pugni fin sotto la serra. E sui pugni
avevano sparato. Mi  ricordavi il lutto,
l’occupazione delle terre. Le violenze
dall’Africa alle Macchie. Alla Cupa.
Avresti rivenduto le primizie. Il taschino
mi mostravi sempre sfiorato. Ti tremava
la testa. Dovevo schivarle- mi dicesti.
Non sapevi che ti avevano ingannato
con un’altra patria.

Si passava tra sterrati col motorin-carretta,
i pugni decapitati. Sui sogni attorcigliati
sbavavano lumache. Non ti vollero tranviere,
ma binari erano le tue vene, ricami di sangue
le tue braccia tra la raccolta ed il cantiere:
avrei sognato un abbraccio, non potevi forse
avevi ferite; e con quel tuo fare distratto
dipingevi su tela le nostre vite, poi il tabacco…



(Giancarlo Serafino)








giovedì 14 luglio 2011

terre d'italia


Terra Rossa

Terra rossa promessa attesa
di rigoglio
tu sai quanto sia lento il risveglio
nell'anima intorpidita dal ricordo

         ...e passano le stagioni
            e gira la giostra a fatica...

Ma tu
nuda te ne stai disseminata di sassi
or che più non ti stella la candida scilla.

Lenti i miei passi sfiorano le ciglia
dorate della carlina spinosa e il biacco
-timida creatura calpestata dalla storia-
lesto si ficca nel taglio d’una fessura.

Ti parlo
-oh terra che m’hai impastato le dita-
ti parlo col pensiero che libra al di là
della lizza della masseria dirocca
e tu
pur muta non taci: respira - mi dici-
respira il mio fiato che è il tuo fiato
abbraccia questa folata di vento
che non freme invano
respirami ora
che il domani… è già lontano!
 (Giancarlo Serafino



Occitania

Inciderò sulle mie braccia
i graffiti della tua rinascita 
e sarai la mia fortezza
un limbo di baite e di canzoni 
sarai la testa incoronata dei miei avi
il grembo caldo di mia madre 
perché la roccia è terra 
e ogni anima un fiore nuovo
fra la neve
Sarai tu Occitania…pietra e vento 
il nido di un’aquila immortale 
un volo mai planato 
Sarai l’urlo sacro dei miei boschi
il viso buio di mio padre 
quando da questo cielo sconsacrato 
scivolò ai suoi piedi 
l’ultima stella
(Antonio Ciminiera)




Paese antico

Tutte le piazze dei ricordi
son cinte da alberi maestosi,
dove tra i rami e sotto l’ombra chiusa,
si riversava una vita silenziosa,
con i passeri in campagna fino a sera.
Carrozze nere e rosse,
passanti in bicicletta ,
vanno su strade senza asfalto e senza fretta,
così che dalla torre della chiesa
sbadiglia ogni tanto una campana.
Le donne intabarrate, scure,
non danno confidenza
e stringono al corpo la sottana.
Gli uomini col cappello nero,
i baffi impomatati dal barbiere
aprono al bar il giornale della sera.
Gli unici schiamazzi
che rompono nell’aria
sono gli strilli dei ragazzi col pallone
che inseguono sudando,
l’acqua dissetante di fontane.
Le scarpe conciate dalla pece
bianche di polvere e slacciate
fanno il coro coi calzoni corti
aperti sui polpacci anche d’inverno.
La maglia, lana grezza che bucava,
nessuno la sentiva,
per la spensieratezza della faccia
ad affrontar la vita che avanzava.
(Bruno Nencioni Pardini)



Finibusterrae

Bisogna amarla, questa terra. Bisogna per intero prenderla com’è. 
Come un dono, un’ossessione. 
Bisognerebbe attraversarla come una grotta, la Grotta
                                                                 [dei Cervi a Porto Badisco. 
Qui i dipinti rimangono misteri, le tante figure tracciate 
con terra rossa ed escrementi d’uccelli marini. 
Qui l’uomo disegnava ciò che le parole non sanno raccontare, 
ciò che oggi non possiamo interpretare sino in fondo. 
Perché le parole non sempre bastano a spiegare. 
Quando ci illuderemo di aver compreso tutto e tutto riprodotto in serie, 
avremo assassinato passato e presente in un colpo solo. 
Bisogna conservare lo stupore dell’ospite per attraversare questa terra. 
Per assaporarne il miele, il sale. 
Bisogna per intero prenderla com’è. Come un dono, un’ossessione. 
Perché dal Sud si fugge, al Sud si ritorna per la vita intera. 
Come al grembo. Al luogo del delitto. Al piacere della prima volta. 
Al dispiacere per qualcuno.
(Pierluigi Mele)




Rosso d'Oriente


Tutto ciò che risplende è mutevole
come il rosso tenue d’Oriente
che gocciola nel mare già tetro
dietro quella imperturbabile nuvola.
Tutto ciò che risplende non ha quiete.
Tutto ciò che risplende è nulla,
come la stella che svanisce nell’alba,
il desiderio che si impenna ferito
e folgorato cade prigioniero
nell’abisso di un sospiro.
Tutto ciò che risplende è leggero,
come il tuo incedere distratto
tra la folla, con occhi da straniero,
che non appartiene a nessuno,
cui nessuno tende una mano.
Tutto ciò che risplende è lontano.
(Francesco De Girolamo)





Ortigia


Allodola ad ali aperte
che sta per spiccare il volo
valva di conchiglia dischiusa
a custodire (svelare) vicoli
i vicoli pieni di vita
dove risuona
la mia personale conversazione
in questa terra di Sicilia
che l’orecchio di Dionisio
amplifica al mio sentire stesso
che ascolta i passi
giù
giù
per il vicolo dei Cordàri
fune tesa allo Ionio
o per via Amalfitanìa
e il lungomare Alfeo
– il golfo, nello sguardo


e giù
giù
fino al Castello Maniace
prua d’antica nave
pronta a salpare
per l’antico mare greco
- come un ritorno
all’origine che ci fece quel che siamo
per essere quel che saremo
che ancora non sappiamo
ma su cui scommettiamo

( Enzo Rega)

Linguaggio come progetto

Semplicità non povertà espressiva per i poeti dell'ulivo, ma un tentativo di dare continuità alla poesia italiana attraverso esperimenti di poesia immediata, quei legami immediati che stringono in un sentimento unico e variegato autore/lettore. Lo straordinario intreccio di emozioni  e sensazioni che appartiene all'anima del cosmo, del mondo, dell'Io si dipana allora nelle menti dove parola e suono si fondono in quel "qualcosa che si sente ma che non si può dire". I poeti dell'ulivo credono che tutta la poesia ha cittadinanza di essere tale quando almeno una goccia di quest'anima universale si è posata in un verso, evocando ancestrali bisogni. La Poesia che vibra da una metafora, che scuote attraverso un ritmo, che perfino "odora" di un colore un profumo, un'immagine è sicuramente una poesia viva...senz'anima non vi è poesia.